TRIBUNALE DI MONZA 
                           sezione penale 
 
      
    Il Tribunale di Monza - in composizione monocratica - in  persona
del giudice dott. Stefano Cavallini, all'udienza del 27 maggio  2021,
nel procedimento penale nei confronti di: 
      J    G   , nato a , elettivamente domiciliato c/o difensore  di
fiducia avv. Peronetti - libero, assente  -  difeso  da:  avv.  Luigi
Bruno Peronetti, foro di Monza, di fiducia : 
 
                              Imputato 
 
    del reato di cui all'art. 10-bis decreto legislativo  n.  74/2000
perche', quale legale rappresentante della societa' «G.  J.  S.r.l.»,
non versava, entro il termine previsto  per  la  presentazione  della
dichiarazione annuale di sostituto d'imposta per  l'anno  di  imposta
2015,  ritenute  risultanti  (dichiarazione  modello  770)   per   un
ammontare complessivo di 675.503,69 euro. 
    Accertato in D    , commesso il     , 
    [capo di imputazione cosi' integrato all'udienza  del  27  maggio
2021]. 
    Considerato che l'imputato e' stato  chiamato  a  rispondere  del
reato in epigrafe indicato, in prima battuta contestato in termini di
omesso  versamento  di  ritenute  risultanti   dalle   certificazioni
rilasciate  ai  sostituiti  (per  importo  eccedente  la  soglia   di
punibilita'  contemplata  dall'art.  10-bis  decreto  legislativo  n.
74/2000); 
    Rilevato  che,  all'udienza  odierna,  verificata   la   regolare
costituzione delle parti, il pubblico ministero riteneva di integrare
l'originaria  imputazione,   precisandola   nel   senso   dell'omesso
versamento di ritenute dovute in base alla dichiarazione  annuale  di
sostituto di imposta (fermo l'importo complessivo  di  imposta  evasa
gia' indicato), che la difesa rinunciava ai  termini  di  legge  e  -
previ  consenso  alla  acquisizione  del   fascicolo   del   pubblico
ministero, produzione di documenti  relativi  alla  rateizzazione  in
corso e espressa rinuncia alla richiesta di termine ex art. 13  comma
3  decreto  legislativo  n.  74/2000  -   eccepiva   l'illegittimita'
costituzionale della fattispecie delittuosa, nella variante  ascritta
all'imputato all'esito della modifica dell'addebito; 
    Evidenziato invero  che,  gia'  anteriormente  alla  integrazione
formalizzata dal pubblico  ministero  in  udienza,  il  difensore  di
fiducia dell'imputato aveva depositato in  atti  memoria  a  sostegno
della  illegittimita'   costituzionale   dell'art.   10-bis   decreto
legislativo   n.   74/2000,   nella   versione    risultante    dalla
interpolazione conseguente al decreto legislativo  n.  158/2015,  per
lamentato eccesso di delega; 
    Preso atto che il pubblico ministero, quanto  alla  eccezione  di
illegittimita'  costituzionale  tratteggiata  dalla  difesa,  si   e'
rimesso; 
    Ritenuto che la fisionomia tipica della  norma  incriminatrice  -
risultante dalle modifiche apportate dall'art.  7  lett.  b)  decreto
legislativo  n.  158/2015  nella  parte  relativa  all'aggiunta   del
sintagma «dovute sulla base della stessa dichiarazione  o»  (sintagma
al  quale,  in   seguito,   si   fara'   implicitamente   riferimento
ogniqualvolta  verra'   richiamato   l'anzidetto   art.   7   decreto
legislativo n. 158/2015) -  entro  la  quale,  in  conseguenza  della
specificazione del capo  di  imputazione  ritualmente  enucleata  dal
pubblico ministero, va  in  ipotesi  d'accusa  sussunta  la  condotta
omissiva  dell'imputato  sia  in  contrasto  con  il  chiaro   tenore
letterale, con lo  spirito  complessivo  e  con  la  ratio  di  fondo
dell'art. 8 legge  11  marzo  2014,  n.  23  (d'ora  in  avanti,  per
brevita', semplicemente «legge delega») e, dunque, con  gli  articoli
25, comma 2, e 76 (77 comma 1) della Costituzione, nella parte in cui
ha   ampliato   il   perimetro   di   tipicita'   della   fattispecie
incriminatrice  prevista  dall'art.  10-bis  decreto  legislativo  n.
74/2000 sebbene al legislatore delegato fosse  unicamente  consentita
«la possibilita' di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi
o di applicare sanzioni amministrative anziche' penali, tenuto  anche
conto di adeguate soglie di punibilita'»; 
    Ritenuto, altresi', che la nuova  formulazione  dell'art.  10-bis
decreto legislativo n. 74/2000, risultante  dall'intervento  additivo
dell'art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, si  ponga  in  contrasto
con    l'art.     3     Cost.,     sotto     il     profilo     della
uguaglianza-ragionevolezza; 
    Sottopone  al  Giudice  delle  Leggi  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 7 lett. b) decreto legislativo n.  158/2015,
nella parte in cui modifica  l'art.  10-bis  decreto  legislativo  n.
74/2000 aggiungendovi nel testo, le parole «dovute sulla  base  della
stessa dichiarazione  o»,  e,  consequenzialmente,  dell'art.  10-bis
decreto legislativo  n.  74/2000,  nella  versione  risultante  dalle
modifiche conseguenti al  predetto  art.  7  decreto  legislativo  n.
158/2015, per violazione degli articoli 25, comma 2, e 76, 77,  comma
1, Cost., nonche' dell'art. 3 Cost. 
    Non manifesta infondatezza della questione 
    1. La questione di legittimita' costituzionale sopra delineata si
presenta   non   manifestamente   infondata   per   una   serie    di
considerazioni, che verranno partitamente  esposte  in  relazione  ai
profili di illegittimita' involgenti gli articoli 25, comma 2, 76  (e
77 comma 1) Cost., da un  lato,  e  agli  aspetti  piu'  strettamente
correlati  all'art.  3  Cost.,  dall'altro;  conviene   peraltro-onde
puntualmente ambientare la questione di  legittimita'  costituzionale
che  si  andra'  svolgendo  -  ripercorrere   in   via   preliminare,
brevemente, il quadro normativo di riferimento, nella sua  evoluzione
dal 2004 (anno di introduzione della norma incriminatrice  di  omesso
versamento di ritenute certificate) ad oggi. 
    1.1.  La  fattispecie   di   «omesso   versamento   di   ritenute
certificate», eccentrica sul piano politico criminale  al  primigenio
assetto del decreto legislativo n. 74/2000 (calibrato su  fattispecie
di evasione oggettivamente organizzate  sulla  presentazione  di  una
dichiarazione  annuale  connotata  da  profili  di   fraudolenza,   e
soggettivamente orientate da dolo specifico di  evasione,  accanto  a
tre incriminazioni collaterali - artt. 8, 10 e 11  -  svincolate  dal
momento dichiarativo ma colorate da evidente attitudine  lesiva),  e'
stata introdotta dall'art. 1,  comma  414,  legge  313/2004  con  una
formulazione - inalterata sino al decreto legislativo n.  158/2015  -
che cosi' recitava: «e' punito con la reclusione da sei  mesi  a  due
anni  chiunque  non  versa  entro  il   termine   previsto   per   la
presentazione della dichiarazione annuale  di  sostituto  di  imposta
ritenute risultanti dalla certificazione  rilasciata  ai  sostituiti,
per un ammontare superiore a cinquantamila euro per  ciascun  periodo
d'imposta». 
    La tipicita' della fattispecie che qui interessa, come detto,  si
e' mantenuto invariato sino al 2015,  quando  e'  stato  adottato  il
decreto legislativo n. 158/2015, attuativo della legge delega 23/2014
(intitolata "delega al Governo recante disposizioni  per  un  sistema
fiscale piu' equo, trasparente e orientato alla crescita"). L'art.  8
legge 23/2014 ("revisione del sistema sanzionatorio"),  segnatamente,
ha delegato il  Governo,  in  parte  qua,  a  «procedere  (...)  alla
revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri
di predeterminazione e di proporzionalita' rispetto alla gravita' dei
comportamenti,  prevedendo  (...)  la  possibilita'  di  ridurre   le
sanzioni per le  fattispecie  meno  gravi  o  di  applicare  sanzioni
amministrative anziche' penali, tenuto anche conto di adeguate soglie
di punibilita'». 
    Sulla scorta dell'art. 7 decreto legislativo n. 158/2015,  a  far
tempo dal 22 ottobre 2015 (momento di entrata in vigore  del  decreto
legislativo),  il  paradigma  delittuoso  dell'art.  10-bis   decreto
legislativo n. 74/2000, ora rubricato «omesso versamento di  ritenute
dovute  o  certificate»,  e'  cosi'  tipizzato:  «e'  punito  con  la
reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine
previsto  per  la  presentazione  della  dichiarazione   annuale   di
sostituto  di  imposta  ritenute  dovute  sulla  base  della   stessa
dichiarazione  o  risultanti  dalla  certificazione   rilasciata   ai
sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro  per
ciascun periodo d'imposta» (corsivi aggiunti). 
    Con il decreto legislativo n. 158/2015, che  ha  investito  anche
indirettamente la fattispecie attraverso la previsione di una inedita
causa di non punibilita' sopravvenuta (art. 13 decreto legislativo n.
74/2000), pertanto, la figura delittuosa e'  stata  novellata  su  un
duplice  livello  testuale:  in  primo  luogo,  si  e'  ristretto  il
perimetro di penale rilevanza tramite l'innalzamento della soglia  di
punibilita'; su altro versante,  si  e'  ampliato  lo  spettro  della
fattispecie mediante aggiunta  del  riferimento  alla  debenza  delle
ritenute sulla scorta della mera  presentazione  della  dichiarazione
annuale  di  sostituto  di  imposta  (c.d.  «modello   770»),   donde
l'arricchimento  del  presupposto  dr   tipicita'   dell'obbligo   di
versamento, penalmente presidiato, in capo al sostituto. 
    1.2. Cosi' affrescato  sul  piano  della  normativa  primaria  lo
scrutinio di legittimita' della fattispecie  incriminatrice,  siccome
rivisitata dal legislatore del 2015,  palese,  ad  avviso  di  questo
giudice,  si  mostra  in  primo  luogo  il   vizio   d'illegittimita'
costituzionale per eccesso di delega della norma (art. 7  lettera  b)
decreto legislativo n. 15812015, nella porzione relativa al  sintagma
«dovute (...) o») adottata in sede delegata. 
    Conviene subito precisare come questo rimettente non  ignori  che
il sindacato del Giudice delle Leggi in materia di eccesso di de lega
in campo penalistico si muova entro una strettoia segnata da  opposte
esigenze: (i) da un lato, il  principio  -  non  flessibile  -  della
riserva di legge in materia penale (art. 25 comma 2  Cost.),  che  si
sostanzia   nel   tendenziale   monopolio   del   Parlamento,   quale
rappresentante  della  volonta'   popolare   nella   dialettica   tra
maggioranza e minoranza, sulle  scelte  d'incriminazione  (ex  aliis,
Corte  costituzionale,  n.  230/2012),  salvi  i  casi  di  legittimo
intervento del potere esecutivo (decreto legislativo e, sebbene  piu'
problematicamente, decreto-legge); (ii) dall'altro, l'essenza  stessa
della delega legislativa (artt. 76 e 77,  comma  1,  Cost.),  il  cui
esercizio non puo' ridursi ad automatica trasposizione di norme  gia'
nella loro interezza fissate nella legge delega (pena  lo  svilimento
della legislazione delegata a normazione  di  stampo  sostanzialmente
"regolamentare") e, tuttavia,  marcata  dal  limite  invalicabile  di
legittimita' costituzionale - specie in campo penale, per le  ragioni
anzidette - innervato dal rispetto costante dei  principi  e  criteri
direttivi fissati nella legge delega,  onde  scongiurare  l'improprio
svuotamento delle garanzie sottese alla riserva di legge. 
    Essenziale rilievo, dunque, acquista la fissazione  nella  delega
di  principi  e  criteri  direttivi  -  necessariamente  precisi   ed
analitici (pena l'illegittimita' della stessa  fonte  del  potere  di
legislazione  conferito  all'Esecutivo)  -  ,  pietra  angolare   del
giudizio di legittimita' costituzionale, su un piano  contenutistico,
della normazione  delegata:  laddove,  infatti,  non  si  manifestino
violazioni sotto il profilo  di  validita'  temporale  della  delega,
ovvero  in  ordine  all'oggetto  di  quest'ultima,  il  sindacato  di
compatibilita'   costituzionale   delle   scelte    trasfuse    nella
legislazione delegata  va  innestato  inevitabilmente  nella  cornice
tratteggiata dai criteri  direttivi  dettati  dal  Parlamento  e  che
devono tassativamente orientare l'esercizio  del  potere  legislativo
delegato, pena la frizione  con  il  superiore  principio  condensato
nell'art. 25 comma 2 Cost. 
    1.2.1.  Le  coordinate  teoriche  appena  abbozzate  sono   state
peraltro «riempite» progressivamente dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale, che ha tracciato i binari entro i  quali  il  giudice
comune e' chiamato a valutare la  non  manifesta  infondatezza  della
eventuale  questione  di  legittimita'  per   «eccesso   di   delega»
prospettata nella vicenda al suo vaglio. 
    Inevitabile la premessa: se il principio della riserva  di  legge
«rimette al legislatore, nella figura ( ... ) del ( ... )  Parlamento
la scelta dei  fatti  da  sottoporre  a  pena  e  delle  sanzioni  da
applicare», l'art. 25 comma 2 Cost. e' violato «qualora quella scelta
sia invece effettuata dal Governo in assenza o fuori  dai  limiti  di
una valida delega legislativa. La verifica  sull'esercizio  da  parte
del Governo della  funzione  legislativa  delegata  diviene,  allora,
strumento di garanzia del rispetto del  principio  della  riserva  di
legge in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost.» (Corte
Cost., n. 5/2014): parole tanto significative in  quanto  pronunciate
in relazione ad una  ipotesi  di  abolitio  criminis  introdotta  dal
decreto legislativo al di fuori di esplicite previsioni facoltizzanti
della legge delega dunque a fortiori predicabili di inveramento in un
caso - come quello che a breve si passera' ad esaminare nel dettaglio
- in cui il decreto  legislativo  finisca  per  ampliare  una  figura
delittuosa gia' esistente, in  assenza  di  copertura  di  sorta  nei
criteri direttivi della legge delega. 
    Peraltro,  onde  contemperare  le  esigenze  gia'  in  precedenza
accennate, costante e' la giurisprudenza del Giudice delle leggi  nel
senso che il «contenuto della delega legislativa, e dei suoi principi
e  criteri  direttivi,  deve  essere   identificato   accertando   il
complessivo contesto normativo e le finalita' che la ispirano. Questa
stessa giurisprudenza  chiarisce  che  la  delega  non  esclude  ogni
discrezionalita' del legislatore delegato, che puo' essere piu'  meno
ampia, in relazione al grado  di  specificita'  dei  criteri  fissati
nella legge di delega. Per parte sua, l'attivita' del  delegato  deve
inserirsi  in  modo  coerente  nel  complessivo   quadro   normativa,
rispettando la ratio della legge delega» (Corte Cost.,  n.  127/2017,
corsivi aggiunti). Da qui, dunque,  la  necessita'  di  coniugare  il
portato letterale della singola disposizione della legge delega,  che
appaia eventualmente suscettibile  di  plurimi  significati,  con  il
contesto globale in  cui  quella  stessa  disposizione  si  inserisce
(quanto alla ratio della legge  delega  cfr.,  tra  le  altre,  Corte
costituzionale, n.  229/2014),  onde  imprimere  univocita'  al  dato
testuale e apprezzare la coerenza di fondo tra legge delega e decreto
legislativo;  esigenza,  di  nuovo,  particolarmente   pressante   al
cospetto di scelte di  politica  criminale  compiute  dal  Parlamento
attraverso ro  strumento  della  delega  al  Governo  (in  proposito,
nuovamente, Corte costituzionale, n. 127/2017). In coerenza con  tali
postulati ermeneutici,  quindi,  si  e'  rimarcato  come  «i  vincoli
derivanti  dall'art.  76  Cost.,  per  l'esercizio   della   funzione
legislativa da parte  del  Governo,  non  inibiscano  a  quest'ultimo
l'emanazione di norme che rappresentino un  coerente  sviluppo  o  un
completamento  delle  scelte  espresse  dal  legislatore   delegante,
dovendosi escludere che la  funzione  del  legislatore  delegato  sia
limitata ad una mera scansione linguistica  di  previsioni  stabilite
dal primo»; detto altrimenti,  «la  delega  legislativa(  ...  )  non
esclude  qualsiasi   discrezionalita'   del   legislatore   delegato,
destinata a risultare piu' o meno ampia  in  relazione  al  grado  di
specificita' dei criteri fissati dalla legge di  delega:  sicche'  la
valutazione dell'eccesso, o del difetto, nell'esercizio della delega,
va compiuta in rapporto proprio alla  ratio  della  delega  medesima,
onde  stabilire  se  la  norma  delegata  sia  coerente  (  ...  )  o
compatibile con quella delegante» (Corte Cost., n.  98/2015,  corsivi
aggiunti;  in  termini  analoghi,  tra  le  tante,  Corte  Cost.,  n.
272/2012;  Corte   Cost.,   n.   119/2013),   ovvero   sia   comunque
specificazione  degli  «indirizzi  generali»  della  fonte  delegante
(Corte Cost., n. 230/2010). 
    1.2.2. Al lume di siffatte direttrici esegetiche e' ora possibile
sperimentare la non manifesta infondatezza della  questione  relativa
alla violazione  dell'art.  76  (77  comma  1)  Cost.,  in  combinato
disposto con l'art. 25 comma. 2 Cost.; e il giudizio,  ad  avviso  di
questo rimettente, restituisce nitidamente il frontale contrasto  tra
i principi e i criteri direttivi della legge delega e il prodotto del
decreto delegato, quanto alla novellata calibrazione della  omissione
propria dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000. 
    Si e' gia' osservato che, mentre anteriormente  all'ottobre  2015
nella cornice delittuosa ricadevano esclusivamente omessi  versamenti
di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai  sostituiti
(componendosi, dunque, la norma incriminatrice di un  primo  segmento
commissivo  -  il  rilascio  delle   certificazioni   -   ,   seguito
dall'inerzia nel versamento), con la  novella  arrecata  dal  decreto
legislativo n. 158/2015 acquista  tipicita'  la  pura  omissione  del
versamento, purche' risulti  dalla  dichiarazione  la  debenza  delle
somme a titolo di ritenute sulla scorta della  dichiarazione  modello
770, a prescindere dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti. 
    In tal modo - mette conto brevemente rilevare - e' stato superato
ope legis il contrasto giurisprudenziale insorto, nella vigenza della
norma incriminatrice nella originaria formulazione,  con  riferimento
alla valenza probatoria del c.d. «modello 770», vale a dire in ordine
alla sufficienza probatoria della dichiarazione annuale del sostituto
onde  inferire  l'esistenza  anche  del   segmento   di   fattispecie
costituito dal rilascio delle certificazioni: contrasto  invero  (che
non e' qui opportuno ripercorrere nei  suoi  risvolti  argomentativi,
neppure per sommi capi) che la giurisprudenza di legittimita' appena·
precedente al decreto legislativo n. 158/2015  era  ormai  avviata  a
risolvere  consolidando  l'orientamento  secondo   cui   dalla   mera
presentazione del «modello 770» non sarebbe consentito desumere anche
l'avvenuto rilascio delle certificazioni (tra  le  altre,  Cassazione
pen. sez. III, n. 40526/2014 Cassazione pen. sez. III, n. 10475/2015;
successivamente al 2015, Cassazione pen.  sez.  III,  n.  10104/2016;
Cassazione pen. sez. III, n. 10509/2017). 
    L'orientamento  piu'  restrittivo  ha   trovato   definitiva   ed
autorevole conferma da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte:
per i fatti anteriori al 22 ottobre 2015 - hanno statuito le  Sezioni
Unite - a fini di prova del  rilascio  delle  certificazioni  non  e'
bastevole  la  mera  acquisizione  al  fascicolo  dibattimentale  del
«modello 770» (nel cui riquadro «ST», infatti, non e' dato  rinvenire
alcuna  specifica  indicazione   in   ordine   alle   certificazioni,
veicolando esso solo l'avvenuto pagamento e le ritenute  operate  dal
sostituto),  occorrendo  piuttosto  la  prova  di  tale  elemento  di
fattispecie - elemento costitutivo del reato, ovvero presupposto  del
reato secondo una parte minoritaria della giurisprudenza - attraverso
l'acquisizione di  documenti  oppure  mediante  la  prova  orale  dei
sostituiti (Cass. pen. Sez. Un. ,  n.  24782/2018).  L'arresto  delle
Sezioni Unite, ai  fini  che  qui  soprattutto  rilevano,  si  mostra
decisamente significativo sotto un duplice - complementare - profilo.
Per un verso, infatti le Sezioni Unite hanno  in  termini  del  tutto
condivisibili ribadito, cristallizzandolo nel «diritto vivente»,  che
il  legislatore  del  2004,  nell'inserire  l'art.   10-bis   decreto
legislativo  n.  74/2000  nel  microsettore   penale-tributario,   ha
espressamente condizionato la tipicita'  dell'omissione  al  rilascio
delle certificazioni ai sostituiti, per l'altro hanno rinvenuto nella
novella  del  2015  un  coerente  vettore  di   rafforzamento   della
interpretazione infine accolta: in effetti, si e' sottolineato, anche
richiamando i lavori preparatori al decreto legislativo  n.  158/2015
(in  particolare  la  relazione  illustrativa),  che  la  scelta  del
legislatore delegato si comprende  nella  esigenza  di  «chiarimento»
conseguente al dibattito e alle  ondivaghe  posizioni  assunte  dalla
giurisprudenza quanto alla  valenza  probatoria  del  «modello  770».
Stando cosi' le cose,  la  modifica  scaturita  dall'art.  7  decreto
legislativo n. 158/2015 sul  segmento  oggettivo  della  fattispecie,
lungi  dal  risolversi  in  mera  «interpretazione   autentica»,   ha
riverberato un  ampliamento  dell'oggetto  materiale  dell'omissione,
che, «dapprima limitata a quelle sole ritenute che risultavano  dalla
certificazione,  e'  oggi  estesa  alle  ritenute   emergenti   dalla
dichiarazione modello 770» (cosi'  Cassazione  pen.  Sez.  Un.  ,  n.
24782/2018, cit.). D'altra parte, hanno soggiunto le  Sezioni  Unite,
lo stesso legislatore delegato, nella citata relazione  illustrativa,
ha connotato in chiave di «estensione del comportamento omissivo  non
piu' alle sole ritenute "certificate"  ma  anche  a  quelle  "dovute"
sulla base  della  dichiarazione  annuale  del  sostituto  d'imposta»
(corsivi aggiunti) la modifica sull'art. 10-bis  decreto  legislativo
n. 74/2000, puntualizzazione che evidentemente esclude in  radice  la
possibilita' di  ridurre  a  semplice  attivita'  di  interpretazione
autentica l'intervento dell'art. 7 decreto legislativo  n.  158/2015.
Solo al lume  della  interpretazione  offerta  all'assetto  normativo
previgente all'ampliamento della fattispecie,  peraltro,  le  Sezioni
Unite, in un prezioso obiter dictum conclusivo, hanno escluso che nel
caso  sottoposto  al  loro  scrutinio  -   riguardante   un'omissione
consumata  nell'anno  2011  potesse  concretizzarsi  un   vulnus   di
legittimita' costituzionale. 
    Ad identiche conclusioni non puo' invece pervenirsi in  relazione
ai  fatti,  come  quello   giudicato   dal   rimettente,   successivi
all'ottobre 2015,  per  i  quali  il  contenuto  della  dichiarazione
modello 770 - laddove indichi l'esistenza  di  ritenute  operate  dal
sostituto  e'  bastevole  a  determinare  la   tipicita'   delittuosa
(allorquando,  naturalmente,  a  tale  dichiarazione  segua  l'omesso
versamento). 
    Come  in  precedenza  rilevato,  nel  delegare  l'Esecutivo  alla
«revisione» del sistema penale tributario, l'art. 8 legge 23/2014  ha
limitato lo spazio d'azione  del  legislatore  delegato  vincolandolo
alla mera «possibilita' di ridurre le  sanzioni  per  le  fattispecie
meno gravi o di applicare sanzioni  amministrative  anziche'  penali,
tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilita'». 
    Alcun   dubbio,   anzitutto,   incrina   l'obiettiva   ascrizione
dell'omesso versamento di ritenute alla categoria  delle  fattispecie
«meno gravi» tra quelle che compongono il settore penale  tributario:
limitandosi  alle  figure  delittuose  del  decreto  legislativo   n.
74/2000, in effetti, in uno al contiguo art. 10-ter e  alla  variante
di  indebita  compensazione  mediante  crediti  non  spettanti  (art.
10-quater comma 1, a seguito  dello  sdoppiamento  della  fattispecie
proprio per il tramite  del  decreto  legislativo  n.  158/2015),  la
previsione dell'art. 10-bis si caratterizza per la  cornice  edittale
piu' mite nel quadro del decreto legislativo n. 74/2000; giudizio  di
minore gravita' confermato anche allargando  lo  sguardo  visuale  ad
istituti di contorno al paradigma tipico, segnatamente in ragione del
mancato richiamo di tal une delle pene accessorie enumerate dall'art.
12 decreto legislativo n. 74/2000 (nel dettaglio: l'interdizione  dai
pubblici  uffici),  dell'assenza  di  limiti  al  riconoscimento  del
beneficio della sospensione condizionale della pena (art.  12,  comma
2-bis,   decreto   legislativo   n.   74/2000),    e,    soprattutto,
dell'applicazione della piu'  favorevole  causa  di  non  punibilita'
introdotta proprio dal legislatore  delegato  del  2015  all'art.  13
decreto  legislativo  n.  74/2000:  rinuncia  alla  pena  di   stampo
prettamente oggettivo e costruita, per il reato in esame,  unicamente
sulla estinzione del debito tributario entro il termine  di  apertura
del dibattimento (diversamente da quanto avviene per  le  fattispecie
dichiarative elencate al comma  2  dell'art.  13,  per  le  quali  e'
richiesta anche la «resipiscenza» del  contribuente,  comprovata  dal
pagamento del dovuto prima della formale conoscenza del  procedimento
amministrativo o penale). A «cartina di  tornasole»  della  marginale
gravita' della fattispecie di omesso  versamento  di  ritenute,  poi,
assurge la stessa scelta del legislatore delegato del 2015, il  quale
-·come si e' avuto modo di osservare-ha inteso, con lo stesso art.  7
lett. b) decreto legislativo n. 158/2015, innalzare sensibilmente  la
soglia di punibilita' del reato, ora radicata in euro 150.000,  cosi'
azionando una precisa leva abolitiva: e cio' appunto, in ossequio  al
criterio direttivo fissato dall'art.  8  della  legge  delega,  nella
parte in cui autorizzava l'Esecutivo a ridurre  le  sanzioni  per  le
figure delittuose  meno  gravi  anche  rimodulando  adeguatamente  le
relative soglie di punibilita'. In via  complementare,  la  refluenza
della fattispecie di omesso versamento di ritenute  entro  il  novero
dei tipi «meno gravi» e' desumibile a contrario, soffermandosi  sugli
altri criteri direttivi che,  nell'ambito  dell'art.  8  della  legge
delega, interessano le nonne incriminatrici penali tributarie, e  che
sono  delineati  partitamente  (a)  per  le   figure   connotate   da
fraudolenza, da comportamenti simulatori o finalizzati alla creazione
o   all'utilizzo   di   falsa   documentazione,   (b)    nel    senso
dell'individuazione di un piu'  preciso  discrimen  tra  condotte  di
effettiva evasione e di mera  elusione  d'imposta,  nonche'  (c)  sul
regime della dichiarazione  infedele:  categorie,  evidentemente,  in
alcun modo riferibili alle omissioni che qui interessano (vuoi per il
difetto di fraudolenza che le connota, vuoi perche'  non  interessate
da interrelazioni con il tema  dell'elusione  fiscale,  vuoi  perche'
gia' nominalmente distinte dalla  dichiarazione  infedele,  tipizzata
all'art. 4 decreto legislativo  n.  74/2000),  sicuramente  ricadenti
insomma - anche sotto questo profilo - entro  il  residuale  criterio
direttivo tratteggiato, appunto, per le figure «meno gravi». 
    Sennonche', ad onta di tali  criteri  direttivi,  il  legislatore
delegato  -  arrogandosi  scelte  politico-criminali   spettanti   al
Parlamento e frontalmente contrastanti  con  i  criteri  della  legge
delega - ha altresi'  espresso  un  deciso  ampliamento  all'area  di
penale rilevanza alla stregua dell'art. 10-bis decreto legislativo n.
74/2000,  che  intercetta   ora   l'omissione   nel   versamento   di
qualsivoglia  ritenuta  purche'  «attestata»   nel   «modello   770»:
circostanza che rende costituzionalmente illegittima, per  violazione
dell'art. 76 (77 comma 1) Cost. la modifica in  senso  estensivo  del
precetto.  Infatti,  per  il  tramite   dell'ampia   direttrice   del
richiamato art. 8 legge 23/2014, nella parte concernente  gli  omessi
versamenti,  il  legislatore  delegato  avrebbe  potuto  spaziare   -
mantenendosi nella gamma di opzioni consentite dalla fonte  delegante
- dalla soppressione degli articoli 10-bis e  10-ter  (con  eventuale
rilevanza sul piano amministrativo delle omissioni ivi previste) alla
parziale abolizione delle figure emissive  attraverso  l'innalzamento
della  soglia  di  punibilita',  dal  mantenimento   dei   previgenti
paradigmi emissivi (la legge delega parla invero  di  «possibilita'»)
sino  a  un  piu'   circoscritto   intervento   sul   solo   versante
sanzionatorio, con riduzione delle entita' edittali  di  fattispecie.
Trattasi di delega particolarmente vasta, gia' di per se' - con  ogni
probabilita' - non conforme al dettato costituzionale nella misura in
cui si risolve nella  remissione  di  scelte  di  politica  criminale
all'Esecutivo  sganciate   da   qualunque   indicazione   minimamente
vincolante e, in definitiva, pressoche' «in bianco»;  ma  -  in  ogni
caso, non essendovi «elementi  testuali  suscettibili  di  divergenti
letture» (Corte Cost., n. 127/2017, cit.) -  senz'altro  netta  nella
preclusione per il legislatore delegato all'attrazione nel  perimetro
di tipicita' della fattispecie, estendendo la penalita', di  condotte
penalmente irrilevanti all'epoca in cui  la  legge  delega  e'  stata
promulgata. Per contro, e' proprio quest'ultimo l'effetto conseguente
alla  legislazione  delegata,  e  segnatamente  all'art.  7   decreto
legislativo   n.   158/2015:   l'inedita   tipizzazione   ad    opera
dell'Esecutivo, nel quadro dell'art. 10-bis  decreto  legislativo  n.
74/2000, di comportamenti in precedenza atipici, in difetto  di  base
normativa nella legge delega. 
    Balza,  quindi,  immediatamente   all'occhio   il   vizio   della
disposizione censurata, da scrutinare invero con  il  maggior  rigore
imposto  in  tutte  le  situazioni   in   cui   «si   discuta   della
predisposizione, da parte del legislatore delegato, di un  meccanismo
di tipo sanzionatorio privo di espressa indicazione nell'ambito della
delega, [nelle quali, n.d.r.] lo scrutinio di  «conformita'»  tra  le
discipline appare particolarmente delicato» (Corte Cost., n. 98/2015,
cit.). 
    Ne' si potrebbe opinare  nel  senso  che  la  nuova  formulazione
dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000  sia  rispettosa  del
contenuto della  legge  delega  poiche'  la  fattispecie,  come  gia'
rilevato, e' stata anche amputata, con l'innalzamento  della  soglia,
di una congerie di condotte che in precedenza ricadevano  invece  nel
cono di tipicita' dell'omissione propria  (quali,  segnatamente,  gli
omessi versamenti di importo compreso tra  50.001  e  150.000  euro).
Cio' in quanto -  ed  e'  l'aspetto  che  essenzialmente  rileva  nel
procedimento incardinato presso il giudice rimettente -  all'indomani
del  decreto  legislativo  n.  158/2015  si   registra   pur   sempre
l'ingresso, nella sfera di  penale  rilevanza  sagomata  dalla  norma
incriminatrice,  di  comportamenti  che   in   precedenza   esulavano
senz'altro dalla tipicita' penale, quali  gli  omessi  versamenti  di
ritenute risultanti esclusivamente dalla  dichiarazione  annuale  del
sostituto d'imposta per importi  eccedenti  euro  150.000  (addebito,
appunto, contestato all'odierno imputato nel procedimento a quo):  in
altre parole, un effetto ampliativo della figura delittuosa -  scevro
di copertura  nella  legge  delega  e,  pertanto,  costituzionalmente
illegittimo - e' stato comunque veicolato dal decreto legislativo, in
aperta violazione degli artt. 25, comma 2, e 76 (77 comma 1) Cost. 
    1.3. La norma censurata risulta  peraltro  illegittima  anche  al
metro  di  altro   parametro   costituzionale,   segnatamente   della
uguaglianza-ragionevolezza. 
    1.3.1. Stanno in  principio,  nuovamente,  i  principi  da  tempo
ritagliati  -anche   in   prospettiva   evolutiva   -   dalla   Corte
costituzionale in  ordine  ai  postulati  teorici  del  sindacato  di
ragionevolezza in materia penale, tradizionalmente impostato  secondo
un giudizio «triadico» ma segnato da piu' recenti aperture  verso  un
sindacato di ragionevolezza intrinseca della disposizione  censurata:
principi su cui giova solo fugacemente soffermarsi, in  quanto  ormai
costituenti vero e proprio diritto costituzionale vivente». 
    Muovendo dal  giudizio  «triadico»,  necessaria  e',  in  estrema
sintesi, l'individuazione di un tertium comparationis, vale a dire di
una norma che, raffrontata con quella  sospettata  di  illegittimita'
costituzionale,  lasci  trasparire  una  illegittima  disparita'   di
trattamento   tra   situazioni   analoghe,   ovvero   una    indebita
equiparazione legislativa di situazioni affatto  distinte  tra  loro;
laddove,  per  riprendere  i  rilievi  di  autorevole  dottrina,   la
pertinenza del termine di raffronto isolato dal giudice a quo dipende
da  considerazioni  che  -  nel  caleidoscopio  dei  diversi  casi  -
attraversano inter alia l'interesse  protetto,  la  condotta  tipica,
l'elemento soggettivo, l'oggetto materiale  o  l'ambito  applicativo,
dunque la tipologia e il grado dell'offesa (oggettiva  e  soggettiva)
ma anche elementi ulteriori secondo un raffronto teso  a  significare
in  modo   stringente   e   palese   l'incongruenza   dell'asimmetria
disciplinare. 
    Allo scrutinio  cadenzato  dalla  «comparazione»  tra  discipline
normative astrattamente accostabili  e  utilmente  raffrontabili,  in
ogni caso, negli ultimi anni si e' affiancato un sindacato assai piu'
incisivo  del  Giudice  delle  Leggi,  funzionale  alla  verifica  di
offensivitaproporzionalita'  della   risposta   repressiva   rispetto
all'effettivo  disvalore  condensato   nella   norma   incriminatrice
censurata  (tra  le  piu'  significative,  Corte  costituzionale,  n.
236/2016;  Corte  Cost.,  n.  222/2018;  Corte   costituzionale,   n.
40/2019):   con   precipuo   riferimento   alla    scrutinio    sulla
proporzionalita' della risposta sanzionatoria,  tra  l'altro,  si  e'
affermato  che   il   sindacato   costituzionale   sulla   dosimetria
sanzionatoria non trova  ostacoli  «quando  le  scelte  sanzionatorie
adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente  arbitrarie
o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di
soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da ricondurre a
coerenza le scelte gia' delineate a tutela  di  un  determinato  bene
giuridico, procedendo puntualmente, ove  possibile,  all'eliminazione
di ingiustificabili incongruenze» (Corte Cost. n. 40/2019, cit.). Non
e' quindi indispensabile che esista, a livello sistematico, «un'unica
soluzione costituzionalmente vincolata  in  grado  di  sostituirsi  a
quella dichiarata illegittima, come quella  prevista  per  una  norma
avente identica struttura e  ratio,  idonea  a  essere  assunta  come
tertium comparationis, essendo  bastevole  che  il  sistema  nel  suo
complesso offra alla Corte «precisi punti di riferimento» e soluzioni
«gia' esistenti» (ibidem). 
    1.3.2. Ora, questo giudice ritiene che la  fattispecie  dell'art.
10-bis decreto legislativo n. 74/2000, siccome modificata dall'art. 7
decreto legislativo n. 158/2015, si ponga in frizione  con  l'art.  3
Cost. tanto se si intenda procedere a un giudizio  «triadico»  quanto
se si concentri  l'analisi  all'interno  della  norma  incriminatrice
sospettata d'incostituzionalita'. 
    (a) Volendo prendere le mosse  dai  sentieri  tradizionali  della
giurisprudenza  del  Giudice  delle  Leggi,  viene  in  rilievo,   ad
ambientare l'indagine sulla  (ir)ragionevolezza  del  novellato  art.
10-bis decreto legislativo n. 74/2000, l'assenza nel  sistema  penale
tributario di una figura delittuosa che tipizzi la  presentazione  di
dichiarazioni fraudolente del sostituto di imposta. 
    Si e' osservato che, all'indomani dell'ampliamento dell'orbita di
tipicita' dell'omesso  versamento  delle  ritenute,  acquista  penale
rilevanza alla stregua dell'art. 10-bis l'omissione liquidatoria  che
s'appunti su ritenute unicamente risultanti dalla  dichiarazione  del
sostituto  di  imposta;  cosi'  facendo,  tuttavia,  il   legislatore
delegato ha finito per innalzare lo standard della tutela per il bene
giuridico di categoria, riservando il massimo livello  garantito  dal
presidio penale,  a  una  condotta  (l'omesso  versamento)  che,  pur
rinvenendo nella  dichiarazione  il  proprio  presupposto  operativo,
appare circoscritta alla fase finale, prettamente  liquidatoria,  del
tributo  e  che,  nel  contesto  complessivo   del   sistema   penale
tributario, si colloca allivello  inferiore  di  disvalore  astratto,
come per tabulas dimostrato dalla  mitezza  delle  sanzioni  edittali
delle figure omissivo-liquidatorie nel raffronto  con  i  piu'  gravi
illeciti dichiarativi: illeciti dichiarativi - qui il punto -  tra  i
quali non e' dato rinvenire (se non nel contesto dell'art. 5  decreto
legislativo n. 74/2000, che  in  forza  del  decreto  legislativo  n.
158/2015 contempla ora anche l'omessa dichiarazione del sostituto  di
imposta, con variante delittuosa a sua volta gravemente indiziata  di
illegittimita'  costituzionale  per   eccesso   di   delega)   alcuna
previsione delittuosa in  materia  di  dichiarazioni,  fraudolente  o
infedeli, del sostituto di imposta. Stando cosi' le cose, allora,  il
sistema penale tributario, del tutto irragionevolmente, in materia di
dichiarazioni del sostituto di imposta, a parita' di  imposta  evasa,
conferisce rilievo penale a  condotte  caratterizzate  -  secondo  le
dosimetrie edittali rinvenibili nello stesso decreto  legislativo  n.
74/2000 - da un disvalore inferiore rispetto a quello di condotte -la
presentazione di dichiarazioni connotate da  profili  di  falsita'  o
infedelta' - che, per quanto con ogni evidenza assai  piu'  gravi  in
punto di disvalore, per il sostituto di imposta risultano  penalmente
irrilevanti. Infatti, in difetto del rilascio delle certificazioni  -
dunque in presenza dei presupposti di operativita' della  alternativa
delittuosa di nuovo conio dell'art.  10-bis  decreto  legislativo  n.
74/2000 - viene punito il contribuente che presenti un «modello  770»
veritiero e ometta di versare le ritenute per un importo superiore  a
euro 150.000, mentre andra' esente da pena il  sostituto  di  imposta
che, rendendosi ugualmente inadempiente a  un  debito  tributario  di
pari entita', abbia presentato una dichiarazione falsa, indicando  un
debito inferiore alla soglia di punibilita'. 
    Ne deriva, sotto questo riguardo, la manifesta irragionevolezza -
in parte qua dell'art. 10-bis  decreto  legislativo  n.  74/2000,  e,
quindi, il contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  avendo  il  legislatore
regolato in termini deteriori (con il  ricorso  al  presidio  penale)
condotte meno gravi di quelle (ricadenti sempre  sulle  ritenute  del
sostituto di imposta) caratterizzate  da  piu'  intenso  disvalore  e
tuttavia sfornite  di  tutela  penale.  Solo  incidentalmente  merita
rilevare che alle stesse conclusioni non  puo'  giungersi  in  ordine
all'alternativa  variante  delittuosa   dell'omesso   versamento   di
ritenute certificate, sin  dalla  legge  311/2004  contemplato  dallo
schema tipico, in  cui  il  disvalore,  prescindendo  totalmente  dal
«modello 770» (dalle sue risultanze e dalla  sua  genuinita'),  viene
agganciato  saldamente  a   un   presupposto   (il   rilascio   delle
certificazioni, appunto) da cui discendono ben precise conseguenze in
punto di solidarieta' passiva di  imposta  (a  seguito  del  rilascio
delle    certificazioni,    infatti,    il    sostituito    fuoriesce
definitivamente dal rapporto obbligatorio con il Fisco)  che  rendono
pienamente ragionevole e giustificato il ricorso alla sanzione penale
in caso di successivo omesso versamento del sostituto. 
    Unica  strada  costituzionalmente   percorribile,   non   potendo
evidentemente il Giudice delle Leggi  arricchire  il  catalogo  delle
ipotesi delittuose penali tributarie, e' rappresentata in  definitiva
dall'espunzione dall'ordinamento penale della fattispecie  di  omesso
versamento  di  ritenute  dovute  semplicemente  sulla   base   della
dichiarazione annuale di sostituto d'imposta. 
    (b) L'assetto dell'art. 10-bis  decreto  legislativo  n.  74/2000
scaturente  dalle  modifiche  in  senso  ampliativo  della  penalita'
apportate dall'art.  7  lett.  b)  decreto  legislativo  n.  158/2015
sconta, peraltro, anche una insanabile  irragionevolezza  intrinseca.
Si  e'  a  piu'  riprese  evidenziato  che  il  (nuovo)   presupposto
dell'omissione propria, alternativo al rilascio delle certificazioni:
attestanti le ritenute, gravita  non  gia'  sull'effettuazione  delle
ritenute, bensi' sulla mera indicazione delle ritenute  nel  «modello
770»: si affida dunque, interamente, alla dichiarazione del sostituto
uno dei due alternativi criteri del calcolo dell'imposta evasa e,  in
conseguenza, di verifica del superamento della soglia di punibilita'. 
    Tuttavia, un simile disegno normativo, gia' irragionevole (per le
ragioni   anzidette)   quando   sia   mancato   il   rilascio   delle
certificazioni, assume contorni paradossalmente antinomici qualora le
ritenute  siano  state  anche  certificate.  Infatti,  l'assenza   di
incriminazioni a presidio della veridicita' delle  dichiarazioni  del
sostituto si traduce in un  improprio  «incentivo»  per  il  soggetto
attivo a presentare un «modello 770»  mendace  in  punto  di  quantum
effettivamente dovuto, con  indicazione  di  importi  inferiori  alla
soglia di punibilita'; a quel  punto,  il  pubblico  ministero  sara'
comunque ·onerato di dimostrare, oltre  alla  falsita'  del  «modello
770»  -  non  piu'  proficuamente   impiegabile   quale   presupposto
dell'omissione - , anche l'avvenuto rilascio delle certificazioni  ai
sostituiti esattamente come avveniva prima del decreto legislativo n.
158/2015,  cioe'  nell'assetto  normativo  per   risolvere   le   cui
difficolta'  probatorie  il  legislatore  delegato  del  2015  si  e'
proposto, come visto, di modificare la fattispecie incriminatrice. 
    Ne deriva anche sotto tale  aspetto,  intrinseco  alla  novellata
figura delittuosa, una insanabile irrazionalita' di fondo, foriera di
effetti complessivamente iniqui e financo contraddittori rispetto  al
rationale politico-criminale che ne  ha  orientato  la  modifica  con
l'art. 7 decreto legislativo n. 158/2015. 
    Rilevanza della questione nel giudizio di merito 
    2. Oltre a non· apparire manifestamente infondata,  la  questione
di  legittimita'  costituzionale  cosi'  prospettata  risulta   anche
indubbiamente rilevante  nella  decisione  del  giudizio  di  merito,
demandato alla cognizione di questo Tribunale. 
    Il procedimento ·incardinato innanzi al rimettente  vede  infatti
imputato un soggetto per omesso versamento di ritenute «dovute  sulla
base della dichiarazione»  (a  maggior  ragione  dopo  l'integrazione
dell'addebito  disposta  dal  pubblico  ministero  in  udienza),   in
relazione  a  un  fatto  successivo  al  22  ottobre  2015   (momento
consumativo radicato in imputazione al 15 settembre 2016), dunque nel
vigore  della  nuova  versione  letterale  dell'art.  10-bis  decreto
legislativo n. 74/2000, con imposta  evasa  ampiamente  eccedente  la
soglia  di  punibilita'  della  fattispecie  incriminatrice   e   che
conserva, dunque, penale rilevanza  a  dispetto  dell'incremento  del
relativo importo in conseguenza dell'art. 7  decreto  legislativo  n.
158/2015. 
    Del resto, dal fascicolo del pubblico ministero gia' acquisito  a
fini di utilizzabilita' con il consenso della difesa -in  particolare
dalla lettura della dichiarazione modello  770  presentata  dallo  J.
quale  legale  rappresentante  della  societa'  di  capitali  di  cui
all'imputazione - si evince effettivamente la sussistenza del (nuovo)
presupposto di tipicita' dell'omissione (a  sua  volta  ulteriormente
comprovata dalla documentazione prodotta dalla difesa, nel  dettaglio
dal  piano  di   rateizzazione   concordato   con   l'Amministrazione
finanziaria comprendente anche le ritenute che  nella  presente  sede
interessano),  che  appare   integrata   anche   sul   versante   del
coefficiente psicologico, non ricorrendo, segnatamente,  elementi  da
cui inferire l'eventuale predicabilita', nella vicenda in  esame,  di
una «crisi di liquidita'»  che  -  al  lume  dell'insegnamento  della
giurisprudenza di legittimita' - possa acquistare efficacia  scusante
rispetto alla realizzazione  della  condotta  tipica  (escludendo  il
sostrato volontaristico del dolo generico di fattispecie). 
    Pertanto,  alla  luce  del  diritto  attualmente  vigente,  e  in
particolare della formulazione della norma  incriminatrice  predicata
di illegittimita' costituzionale, il processo con  ogni  probabilita'
si concluderebbe  con  una  affermazione  di  penale  responsabilita'
dell'imputato,  essendo  pienamente  dimostrata  la  totalita'  degli
elementi costitutivi  dell'omesso  versamento  di  ritenute,  siccome
novellato  dall'art.  7  decreto  legislativo  n.  158/2015,  a   lui
addebitato. D'altra  parte,  in  nulla  varrebbero  a  rimeditare  la
rilevanza della questione nel  presente  giudizio  vuoi  il  disposto
dell'art. 13 comma 3 decreto  legislativo  n.  74/2000  -  avendo  la
difesa espressamente rinunciato a chiederne la concessione e  venendo
in ogni caso in rilievo un piano di rateizzazione la cui conclusione,
prevista per l'anno 2026, sarebbe incompatibile  con  i  termini  del
predetto art. 13 comma 3 decreto legislativo n.  74/2000  -  vuoi  la
possibilita', ancora attuale, per la difesa di accedere eventualmente
a riti alternativi, trattandosi invero di evenienze processuali  (ivi
compresa  la  «messa  alla  prova»)  che  scontano,  quantomeno,  una
preliminare valutazione  di  insussistenza  dei  presupposti  per  la
pronuncia di sentenza  di  proscioglimento  ai  sensi  dell'art.  129
codice di procedura penale (tra i  quali,  primariamente,  l'aderenza
del fatto contestato al  tipo  delittuoso  individuato  dal  pubblico
ministero),  impossibile  da  formulare  alla  luce  della  tipicita'
delittuosa dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 allo stato
vigente. 
    Il rischio, dunque, e' che l'imputato sia  condannato  ovvero  in
ogni caso subisca un processo ed eventuali «effetti penali», in  base
a  una  norma  incriminatrice  affetta   dai   plurimi   profili   di
illegittimita' costituzionale sopra delineati. 
    I precetti costituzionali violati. 
    3. Le considerazioni sin qui svolte  consentono,  ad  avviso  del
rimettente, di affermare conclusivamente  che  l'art.  7  lettera  b)
decreto legislativo n. 158/2015  -  nella  parte  in  cui  amplia  la
portata  incriminatrice  dell'art.  10-bis  decreto  legislativo   n.
74/2000, estendendone la tipicita' all'omesso versamento di  ritenute
risultanti sulla base della sora dichiarazione annuale presentata dal
sostituto di imposta - si pone irrimediabilmente in contrasto con gli
articoli 76 (e 77 comma 1) Cost., in relazione all'art.  25  comma  2
Cost., e con l'art. 3 Cost. 
    L'invocata pronuncia della Corte costituzionale  -  perfettamente
coerente con i poteri del Giudice delle Leggi nel quadro dei principi
costituzionali,  risolvendosi  in  intervento  in  bonam  partem,  di
espunzione dal sistema di un frammento di  una  norma  incriminatrice
parzialmente  illegittima  -  si  declina  quale  unico  rimedio  per
rimediare  ai  vizi  di  illegittimita'  dianzi  esposti,  con   cio'
ripristinando la legalita' costituzionale.